Default sì, default no. E’ questa la domanda che tutti gli investitori si stanno ponendo negli ultimi mesi relativamente alla difficile situazione Venezuela 2027.

Sicuramente il Paese sta attraversando un periodo molto difficile e i venezuelani sono stremati: Caritas ha stimato che nel paese vivano circa 300 mila bambini in condizioni di povertà assoluta che rischiano di morire di fame.

Si stima che attualmente molti venezuelani non riescano a mangiare più di una volta al giorno e che il reddito mensile medio sia, se calcolato al cambio reale, di circa 12 dollari al mese; l’inflazione ha superato il 1300per cento all’anno e la moneta venezuelana, il Bolivar, non vale più praticamente nulla: con la banconota più grande, quella da 100 Bolivar, si compra appena un caffè.

Ipotesi di ristrutturazione del debito e downgrade delle agenzie di rating

Dopo mesi di tira e molla, di promesse di pagamento da parte del presidente Maduro, di minacce di downgrade delle principali agenzie di rating; nel corso del mese di novembre è successo: il Venezuela, come era prevedibile, è in default.

Già all’inizio del mese il presidente venezuelano Nicolas Maduro aveva dichiarato che il Paese avrebbe tentato una ristrutturazione del debito, dopo il pagamento di 1,1 miliardi di dollari della controllata statale PDVSA ( la principale azienda petrolifera del Paese).

L’obiettivo era quello di evitare il default in senso stretto , che implica immediata sospensione dei pagamenti e dichiarazione di insolvenza, per tentare la strada già percorsa dalla Grecia: taglio delle cedole o allungamento delle scadenze.

Questa notizia ha innescato un’immediata reazione delle principali agenzie di rating:

  •  Fitch ha tagliato il rating a lungo termine del Venezuela da CC a C;
  • Standard & Poor’s ha abbassatoil giudizio da CCC- a CC per i bond a lungo termine e da C a D per quelli a breve;
  • Moody’s ha dichiarato il default.

I mercati hanno accolto molto male la notizia, infatti i prezzi dei titoli sono precipitati al di sotto dei 25 punti su 100, livello considerato di default.

Il fallimento del vertice con i creditori

default venezuela

Il 13 novembre hanno preso il via le trattative con i creditori per tentare la strada della ristrutturazione del debito; tuttavia il tavolo è stato disertato dalle banche USA, a causa del divieto imposto dalla Casa Bianca.

Gli Stati Uniti erano già intervenuti ad agosto nella questione venezuelana, imponendo sanzioni contro le ripetute violazioni dei diritti civili e accusando i vertici politici del Paese di sostenere il narcotraffico, cosa che evidentemente non ha fatto che peggiorare la già precaria situazione.

L’incontro è durato appena 25 minuti e si è concluso con un nulla di fatto: il giorno dopo il Venezuela non ha pagato cedole in scadenza per 200 milioni di dollari su due obbligazioni 2019 e 2024.

L’intervento di Russia e Cina

A qualche giorno di distanza dal default, sono intervenute per l’ennesima volta, a supporto del Venezuela, la Cina e Russia con ingenti somme di denaro che hanno consentito al Paese sudamericano di pagare parte degli interessi sul debito estero; si tratta certamente di unamossa politica dettata da accordi tra i tre paesi per la gestione delle risorse petrolifere.

Ma quanto potrà durare? Il Venezuela resta comunque un Paese molto instabile, statisticamente è uno di quelli che ha registrato dal 1800 più default di qualsiasi altro.

Inoltre la situazione politica del Venezuela è a dir poco precaria: il governo Maduro, pur avendo vinto le recenti elezioni del 15 ottobre scorso, non gode di fiducia da parte degli investitori globali e neanche da parte della popolazione: i risultati sono stati ampiamente contestati in quanto frutto di brogli e minacce ai seggi, scatenando episodi di protesta e guerriglia urbana.

Le cause del default

venezuela in default

L’economia venezuelana si basa prevalentemente sull’industria petrolifera ed estrattiva; infatti ad inizio degli anni 2000 il Paese ha visto una floridissima crescita, collocandosi, in termini di Pil, tra i primi del Sud America.

A causa del calo del prezzo del petrolio, le esportazioni, che erano arrivate ad un valore attorno ai 100 miliardi di dollari nel 2012, sono drasticamente calate fino a ridursi lo scorso anno a meno di 28 miliardi.

La politica del governo venezuelano, sebbene inizialmente maggiormente re-distributiva rispetto al passato, ha portato dopo la contrazione delle vendite del greggio ad accentrare nuovamente la ricchezza nelle mani di pochi.

Inoltre la politica monetaria interna ha permesso la crescita dell’inflazione alle stelle, comprimendo automaticamente la quantità di beni importabili e facendone incrementare i prezzi.Oggi in Venezuela la carta igienica e gli antibiotici sono diventati beni di lusso.

Inoltre in tutti questi anni di relativo benessere il Governo venezuelano non si è mai impegnato a costituire un fondo di riserve o altre attività finanziarie per far fronte a periodi di crisi petrolifera, come fanno molti altri Paesi che vivono grazie all’oro nero.

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