Mirafiori fa sentire la sua voce

Il 9 e il 10 giugno, alla vigilia della scadenza elettorale, si è svolta a Torino la ‘24 ore‘ per Mirafiori e il futuro della città. Un’iniziativa voluta dai sindacati metalmeccanici torinesi unitariamente e realizzata con lo scopo di riaprire una vertenza sul futuro dell’auto a Torino e in Italia partendo da Mirafiori, che resta la più grande fabbrica italiana in una delle più grandi città operaie e industriali d’Europa.

La ’24 ore’ si è svolta occupando simbolicamente il centro di Torino, trasformando una delle piazze centrali della città in un’agorà sul futuro della fabbrica, dei lavoratori, dell’auto come prodotto, del lavoro, insomma sul futuro del paese visto da Torino: si è data così voce ai movimenti e alle associazioni, da quelle ambientaliste ai Disobbedienti, alla rete delle associazioni cattoliche, dall’Arci di Tom Benetollo – che nella sua generosità aveva voluto esserci di persona – sino al Gruppo Abele, con il quale abbiamo discusso del costo sociale mai ‘contabilizzato’ della perdita del lavoro, delle fratture prodotte nell’identità dei lavoratori quando la precarietà diviene un ‘futuro imposto’.

Una radio («Radio Flash» con il network di «Radio popolare») ha dato voce alla giornata, i registi militanti torinesi – a partire da Armando Ceste – hanno fornito le immagini di due anni di resistenza, di lotte delle lavoratrici e dei lavoratori di Mirafiori e dell’indotto dell’auto, spesso avvenute nel silenzio della città.

Lo sciopero (il più riuscito degli ultimi due anni a Mirafiori, per ammissione della stessa Fiat) ha fermato la fabbrica e ha attraversato con un corteo la città: la politica, soggetto debole e reticente nella crisi industriale di Torino e del paese, alla vigilia del voto ha dovuto ascoltare le ragioni del lavoro e dei movimenti, almeno in quella giornata.
Da quel gesto di indipendenza sociale bisognerà ripartire per costringere la politica a rappresentare le istanze del lavoro a Torino.

mirafiori torino fiat

La crisi a Mirafiori

Mirafiori, che è stata simbolo di un gigantismo industriale feroce e luogo di battaglie d’emancipazione e di libertà per tutto il movimento operaio vive oggi un declino, che è quello del paese. La crisi del modello industriale in tutte le sue versioni, dal Nord-Ovest al Nord-Est, ha un suo epicentro a Torino e a Mirafiori; la fuga della classe imprenditoriale italiana verso la speculazione finanziaria e le rendite, lontano dagli ‘spiriti d’impresa’ si rappresenta bene nella frantumazione d’interessi e nella ritirata della ex grande famiglia del capitalismo italiano, gli Agnelli.

Mirafiori e l’automobile, Torino e l’industria italiana, gli operai e i padroni di oggi sono forse inevitabilmente condannati al declino? E rappresentano forse solo una realtà destinata ad essere superata, e perciò esclusivamente un problema sociale da gestire, mettendo in campo ogni genere di ammortizzatori sociali – senza nessuna differenza tra governi di centro-sinistra e di centro-destra? L’automobile è un prodotto ‘maturo’ di cui liberarsi velocemente? O si possono invece dare ancora una volta, un’occasione, un’opportunità di ricerca, di proposta, di movimento per arrestare il declino del paese, per proporre nuove ipotesi di sviluppo e prodotti nuovi per la loro qualità con il protagonismo democratico dei lavoratori?

I numeri di Mirafiori: il declino

Negli ultimi quattro anni a Mirafiori si è passati da 28.730 addetti nel perimetro ai circa 16.000 attuali; dalle 306.000 auto prodotte nel 2002 alle probabili 193.000 del 2004. Sui 3 milioni di metri quadri dell’area, che corrisponde al 4per cento dell’intera superficie della città di Torino, vi sono 1.200.000 metri quadri coperti da capannoni industriali, mediamente lunghi alcuni chilometri e alti 25 metri, ma ne sono utilizzati meno della metà.

L’indotto torinese dell’auto, poi, conta da 75.000 a 115.000 addetti, a seconda dei comparti merceologici e la classe di dipendenti che si considera, mentre il fatturato prodotto dal settore è per il 50per cento legato alle produzioni delle auto Fiat. Mirafiori oggi occupa più della metà dei dipendenti dell’auto in Italia in un solo stabilimento; mentre ce ne sono ancora altri quattro (Termini Imerese, Pomigliano, Cassino, Melfi): e sono gli unici rimasti nel nostro paese.

Da questi numeri, che si traducono in condizioni di vita e di lavoro quotidiani – e in ansia per il proprio futuro per migliaia di donne e di uomini – parte la nostra risposta positiva ai quesiti sopra posti. Non si deve e non ci si può permettere di rassegnarsi al declino.

La salvaguardia delle auto Fiat

operai fiat a torinoÈ indispensabile per i lavoratori dell’automobile da Torino a Termini Imerese – e per quelle comunità locali – salvaguardare la produzione dell’auto in Italia: e per farlo serve disvelare una crisi, che non si è risolta e che è alla vigilia di due passaggi strategici per le evoluzioni future dell’impresa Fiat e, soprattutto, per il peso che questi passaggi avranno sulle lavoratrici e sui lavoratori: la fine dell’alleanza con General Motors e il peso che assumeranno le banche creditrici nella proprietà Fiat, con la conversione dei prestiti in partecipazioni azionarie. Entrambi questi passaggi sono ormai imminenti, anche se non sono ancora chiari tutti i contorni e tutti gli effetti che essi determineranno.

Diventa quindi indispensabile riportare a un protagonismo l’insieme dei lavoratori italiani del gruppo Fiat, uscendo da quella azione di difesa, stabilimento per stabilimento, caso per caso, nella quale i lavoratori Fiat sono stati cacciati dall’intesa separata del 5 Dicembre 2002 tra Fiat e governo Berlusconi, a cui sono seguiti accordi locali di gestione dei suoi effetti – alcuni ‘separati’ e altri no -, di esubero in esubero, di piano in piano, tra un amministratore delegato e l’altro.

Mirafiori: soluzioni possibili

Ora serve, ed è questo il contributo che abbiamo voluto dare con la piattaforma e la ‘24 ore‘ per Mirafiori: ricostruire un’ipotesi sindacale nazionale, da verificare unitariamente, soprattutto con i lavoratori di tutti gli stabilimenti dell’auto.

Questa ipotesi è oggi credibile perché ha alle spalle la lotta di Termini Imerese, che ha salvaguardato la permanenza del proprio impianto produttivo e quella dei lavoratori di Melfi – stabilimento non coinvolto dagli effetti della crisi, ma strategico in ogni ipotesi di ridisegno del settore dell’auto in Italia -, che sono risultati protagonisti di una lotta decisiva per il segno che ha impresso a questa stagione sindacale sul terreno delle condizioni di lavoro, della democrazia, della parità di condizioni tra Nord e Sud e per il ruolo essenziale che ha giocato in essa la giovane classe operaia meridionale. Melfi ci dice che si può vincere: anche nello ‘stabilimento modello’ e con la Fiat nel pieno di una crisi industriale e finanziaria.

Serve una piattaforma che rivendichi le risorse necessarie a riposizionare e riprogettare il prodotto automobilistico italiano, risorse che l’attuale proprietà – con le sue attuali alleanze – non ha la volontà di reperire. E che vanno, invece, trovate, mobilitando soggetti e finanziamenti pubblici, anche per un tempo circoscritto, come di fatto avviene in altre esperienze già in atto in Europa. Non si tratta di escludere possibili e auspicabili nuove partnerships private, con cui negoziare la difesa e lo sviluppo del sistema italiano dell’automobile nell’interesse del paese e dei lavoratori.

Queste risorse dovrebbero essere prevalentemente utilizzate per recuperare il ritardo sui prodotti, che la Fiat ha accumulato, a partire dallo sviluppo e dalla progettazione dei propulsori eco-compatibili, dagli ibridi alla ricerca sul propulsore alimentato ad idrogeno, sino alla produzione di forme diverse di mobilità.

Occorre perciò un salto di innovazione che difenda l’auto come condizione per arrestare il declino industriale del paese; ma sostenendo l’auto come prodotto strategico e ad alta diffusione di tecnologia e come banco di prova di questa classe imprenditoriale e di ogni presunto o possibile nuovo corso. Contrastando così l’ennesimo spezzatino industriale in stile Olivetti, magari mascherato da scelte come quella di dare vita a un ‘polo del lusso’ (Alfa, Maserati, Ferrari), sostenuto da banche più interessate al recupero dei crediti e alle speculazioni che alla difesa del paese.

Vertenza per Mirafiori

A Torino sappiamo che non si salva Mirafiori senza salvare l’auto in Italia e sappiamo che senza Mirafiori e le competenze e le conoscenze del saper fare l’automobile, presenti diffusamente nel territorio torinese, non esiste l’auto in Italia.

Ed è per questo che ci siamo dati l’obiettivo, aprendo la vertenza per Mirafiori e per Torino, di chiedere per lo stabilimento come condizioni minime la produzione di un motore e un cambio, perché non esiste la possibilità di ricerca e sviluppo eco-compatibile senza il mantenimento di una produzione di motori e di una nuova vettura, per mantenere gli attuali 16.000 occupati (da gennaio ad oggi, infatti, ogni mese a Mirafiori da 1700 a 2800 lavoratori fanno da una a due settimane di cassa integrazione ordinaria, e sarà così anche in futuro: e situazioni simili sono presenti anche negli stabilimenti di Cassino e Termini Imerese).

La vertenza per Mirafiori chiama in causa la riapertura di un negoziato nazionale per la salvaguardia dell’industria italiana a partire da questa realtà, che può e deve diventare un laboratorio contro il declino, mobilitando anche i livelli istituzionali e di governo locale, che hanno sino ad oggi sottovalutato e rimosso la gravità della crisi nella città della Fiat.

fiat mirafiori

Serve un’azione dei movimenti che dalle comunità locali muovano una pressione sulla politica e sui governi, non delegando la propria rappresentanza ma costruendo, come abbiamo provato a fare nella giornata di Torino, ‘alleanze programmatiche dal basso’: tra chi difende il proprio lavoro e chi l’ambiente nella città più inquinata da automobili d’Italia, tra chi misura quotidianamente gli effetti della solitudine sociale e della esclusione e chi dovrebbe costruire inclusione e partecipazione, tra chi promuove cittadinanza e chi tutela e sollecita diritti a partire dal luogo di lavoro, difendendone spazi e rappresentanza.

Torino pensa al futuro

Torino da questo punto di vista è l’inizio di un lavoro, di un tentativo di provare a ricucire nuove alleanze con soggetti assai diversi, mettendo in gioco la propria forza rappresentativa e confrontandosi in modo democratico per costruire un’azione comune, contaminando contenuti e forme delle lotte: da questo punto di vista, memorabile è stato il primo corteo in bicicletta di metalmeccanici di Mirafiori e ambientalisti torinesi nel pomeriggio del 10 giugno.

Il tema che anche come sindacati dovremmo porci – visto il peso che hanno esercitato nelle lotte di questi anni le comunità locali nelle realtà in cui sono presenti gli stabilimenti Fiat – è come far pesare questa realtà sociale più complessa e le sue domande di trasformazione del prodotto in direzione di una vera compatibilità ambientale, in una vertenza nazionale per la salvaguardia dell’industria automobilistica italiana.

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